Alla luce dell’aurora, fredda luce planetaria, luce di corridoio o di
sala d’aspetto, sala operatoria, macello. Luce che tenta di ricacciare
indietro le tenebre.
Una donna torna al momento della cicatrice. Quelle stratificazioni
che vogliono ostinatamente essere cancellate e riportano
all’attimo presente.
Quattro ombre la rievocano, la muovono, la giocano e giocano
tutte le parti, si fanno microcosmo dei viventi, dove i corpi
cambiano, dialogano, si contengono ed entrano in relazione.
Piume, squame, rami, mani, vasi sanguigni, rocce, che il corpo
materno esperisce umanamente nella sua carne. Corpo - cosmo
ad accogliere molteplici voci, sussurri di corridoio, canti alla
soglia, versi, richiami e risa ad aprire la necessità dura che copre
l’orizzonte.
Un lavoro che coinvolge attrici e attori di età diverse e nasce da
alcune potenti suggestioni che pensano “il corpo come materia
vivente” e la “sfera del nascere” come sigillo della complicità delle
donne con la natura. Raccoglie una costellazione di immagini
raccolte negli anni attorno alle esperienze della maternità, della
fragilità, della violenza ostetrica. La scena teatrale accoglierà le
immagini creandole, là dove la lingua del corpo è intensa, dove la
voce cerca la musicalità della lingua materna.
Il lavoro è una scrittura originale ispirata ai lavori di Adriana
Cavarero (Donne che allattano cuccioli di lupo), Maria Zambrano,
Ida Travi
Con frammenti da Sylvia Plath, poeta a cui il lavoro è dedicato.
DEBUTTO
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